Sull’uso del Crocifisso

Il Paese dei crocifissi

La tradizione cattolica dei crocifissi, e delle immagini cosiddette sacre in generale, è secolare; eppure, i primi cristiani – stando alla testimonianza del Nuovo Testamento oltre che della storia in generale – non facevano alcun uso di “immagini sacre”, neppure di crocifissi; essi avevano il comando e si assumevano l’impegno di portare sempre e concretamente Cristo Gesù nel cuore, come possiamo leggere nel seguente brano scritto dall’Apostolo Paolo: “Io sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me; e quella vita che ora vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Lettera ai Galati 2,20). Se crocifissi, templi, quadri, statue, reliquie e cose simili servissero veramente per fare un popolo di veri cristiani, l’Italia – ricca come nessun altro di arte e manufatti “sacri” – sarebbe da secoli un Paese-modello, spiritualmente parlando; ma la realtà, quella che possiamo toccare con mano ogni giorno, ci parla di un Paese nel quale si bestemmia e si usa ogni genere di turpiloquio come in pochi altri, nel quale due uomini su tre comprano le prestazioni delle prostitute e l’adulterio, la convivenza, la fornicazione e la pornografia sono la prassi, il materialismo e l’ateismo dichiarato o di fatto dilagano, la superstizione (spesso mascherata da “religiosità cristiana”) impera, la furbizia e la corruzione sono di casa quasi ovunque, e potremmo continuare… Oltre ad essere cristiano, sono insegnante di Storia e Filosofia e, quando tratto nel programma la nascita del Cristianesimo, solitamente faccio leggere agli alunni le principali fonti dello stesso, ossia brani del Nuovo Testamento (Vangeli, Atti degli Apostoli, Lettere apostoliche, Apocalisse); una volta conosciuti de visu tali brani, i ragazzi sono sempre concordi nell’affermare che di cristiano, nel nostro Paese e dentro ciascuno di loro, c’è molta apparenza e pochissima sostanza; eppure, tutti, da quando sono nati, sono stati circondati da crocifissi. Allora, è la mancanza di vera conoscenza e di vera pratica della Parola di Dio il vero problema! Possiamo moltiplicare crocifissi e cose simili, ma in questo modo altro non faremo che divenire sempre più ipocriti: gente che, come scriveva ancora l’Apostolo Paolo, ha “l’apparenza della pietà, ma avendone rinnegato la potenza” (2ª Lettera a Timoteo 3,5), ossia la potenza spirituale, la capacità trasformatrice interiore. Vorrei ricordare che, nella Bibbia, il secondo dei dieci comandamenti recita così: “Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra” (Esodo 20:4); forse non tutti sanno che la Chiesa Cattolica, nei suoi catechismi, toglie questo comando e, per far tornare il numero di dieci, spezza in due uno degli altri nove… L’iniziativa della Moratti ha somiglianze con quella della croce della tangenziale Ovest di Udine: la si vuol far passare per la battaglia di Dio contro gli infedeli, la battaglia della nostra civiltà contro l’inciviltà (o la scomoda diversità?), ma in realtà è il portato di chi, accorgendosene o meno, si arrocca sui propri simulacri per nascondere un angosciante vuoto: un vuoto del vero significato della morte e risurrezione di Cristo che né immagini, né padrii pii, né madonne o altro potranno mai colmare. La nostra civiltà e società hanno davvero bisogno di ricominciare da Cristo, ma solo dal Cristo del Vangelo.

Valerio Marchi

I Cristiani: simboli viventi

Noto con interesse che sta continuando il dibattito sui crocifissi. Mi ha colpito l’affermazione di un lettore di un quotidiano locale, il quale ha affermato che gli italiani sono “legati a filo doppio con il simbolo del crocifisso“. In Italia infatti i crocifissi sono dappertutto: nei luoghi di culto, negli uffici pubblici, nelle aule delle scuole, lungo le strade, sulle tangenziali, sulle cime delle montagne, appesi al collo di tanta gente o agli specchietti retrovisori delle automobili. Ma qual è il frutto di tale legame “a filo doppio”? Quali sono i risultati dell’uso intensivo di questo simbolo? Che siamo un popolo migliore di altri che tale simbolo non ce l’hanno, oppure non lo usano con tanto zelo? Direi proprio di no e vorrei essere smentito, ma i fatti sono sotto gli occhi di tutti.
Possiamo invece affermare con certezza di far parte di un popolo di grandi bestemmiatori, questo sì, di gente che ignora il Vangelo, gente che non conosce più Dio, lo ama con le parole e lo rinnega nei fatti e crede che confinarlo in qualche rito, qualche festività (tipo il Natale e la Pasqua) e qualche simulacro da trattare come oggetto di venerazione (come appunto il crocifisso), sia sufficiente per guadagnarsi – in qualche modo – il Paradiso.
Quasi nessuno, in questo dibattito sui crocifissi, si è domandato: Dio cosa ne pensa? Perché il secondo dei Suoi comandamenti recita: «non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non le servirai» (Esodo 20,4-5)? Perché i cristiani del I secolo non adoperavano alcun simbolo “sacro” né, tantomeno, i crocifissi? La risposta è che il cristianesimo è una religione interiore, che ambisce a entrare nell’intimo del cuore dell’uomo, tanto da farlo cambiare, diventare una persona nuova, che migliora costantemente, modellandosi sull’esempio del Maestro: Gesù Cristo. A tal proposito Paolo apostolo così sintetizza la vita spirituale del cristiano: «come Cristo è risuscitato dai morti per la gloria del Padre, così anche noi similmente camminiamo in novità di vita» (Lettera ai Romani 6,4).
Il punto, quindi, non è se mettiamo o non mettiamo i crocifissi sulle tangenziali o nelle aule scolastiche. Mettiamoli pure, se ci teniamo, ma il vero problema rimarrà sempre e comunque, e questo problema siamo noi, sono i nostri cuori, i cuori di persone che non sono mai rinate a “novità di vita”, ma si accontentano di ostentare esternamente qualcosa che dentro non riescono più ad essere: veri cristiani.
C’è solo una cosa che ci può cambiare e non è il pezzo di legno appeso alla parete, ma il messaggio di Cristo, scritto una volta per tutte nel Nuovo Testamento.
Se continuiamo a non avere il tempo di leggerlo – e quindi di praticarlo – ma ci accontentiamo di qualche frammento ricevuto qua e là nel corso della nostra vita, non basteranno tutti i crocifissi del mondo a fare di noi dei cristiani, ma se ci accostiamo con umiltà e sete di capire queste parole che sono le parole del nostro Signore, allora la nostra vita potrà davvero cambiare e saremo noi, veri simboli viventi, a portare Cristo risorto nelle scuole, in ufficio, in piazza e ovunque ce ne sia l’opportunità.

Andrea Miola

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