Qual era la speranza dei cristiani in epoca apostolica? Esattamente la stessa di chi vuole essere cristiano oggi.
Rifarsi, dopo due millenni, alle radici della fede in Cristo, non è certo un esito nostalgico. Si tratta, piuttosto, di valutare i contenuti e il senso della straordinaria documentazione del Nuovo Testamento: Vangeli, Atti degli Apostoli, Lettere apostoliche, Apocalisse. Alla luce dell’intera Bibbia, ovviamente.
Secondo quanto riferito dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca, Gesù indica l’ignoranza delle Sacre Scritture e la sfiducia nella potenza di Dio quali cause di fondo di ogni scetticismo nei confronti della risurrezione (Vangelo di Matteo 22:29 e passi paralleli). Inoltre, Gesù afferma: «In verità, in verità vi dico che, se uno osserva la mia Parola, non vedrà mai la morte in eterno […] Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore vivrà» (Vangelo di Giovanni 11:25). Pretese simili o sono vere o sono false: non è ammessa una terza possibilità.
Una decisione, dunque, la dobbiamo prendere. Non si può stare a metà strada, ad esempio dicendo: «Gesù era un buon uomo, una guida spirituale, un idealista che ha cercato di insegnare il bene, ma certo non il Figlio di Dio, e certo non può aver vinto la morte!». Dobbiamo essere coerenti: o Gesù è il Signore della vita, la Parola di Dio fattasi uomo (Vangelo di Giovanni 1:1-14), oppure si tratta solo di un enorme inganno, o forse di un paradossale fraintendimento…
L’apostolo Pietro testimonia di «una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per un’eredità incorruttibile, incontaminata e immarcescibile, conservata nei cieli per voi» (1ªPietro 1:3-4): non si dà perciò vera fede in Cristo e vera speranza nell’eternità senza la sua risurrezione, che peraltro il Nuovo Testamento considera «primizia» (ossia anticipazione e garanzia) della nostra (1ªCorinzi 15:20).
L’apostolo Paolo, dal canto suo, scrive: «Se Cristo non è risorto, vana è la nostra predicazione e vana è pure la vostra fede […] Se i morti non risorgono, allora mangiamo e beviamo, perché domani morremo»; coerentemente, poi, afferma: «Se Cristo non è stato risuscitato, noi siamo trovati falsi testimoni di Dio, perché abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo» ((1ªCorinzi 15:14-15, 32).
Frasi di questo tenore spingono a fare una scelta decisiva, senza mezze vie e senza infingimenti. Sulla realtà o meno della risurrezione, infatti, sta o cade il Cristianesimo. Se Cristo non è risorto, allora il Vangelo si riduce a una rete di menzogne, infatuazioni, allucinazioni o, quanto meno, mitologie e pie illusioni: e la «buona notizia» – tale il significato di «Vangelo», dal greco euanghèlion – sarebbe solo una “bufala”. Una “fake news”, come si dice oggi.
Nella Lettera di Paolo ai Romani leggiamo: «Se con la bocca dichiari che Gesù è il Signore e se credi nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato […] Perché la Scrittura dice: “Chiunque crede in Lui non sarà svergognato”» (Romani 10:9-10). Ciò non significa esigere una fede priva di basi oggettive: infatti l’evangelista Luca premette al suo «resoconto ordinato» di avere «indagato accuratamente ogni cosa fin dall’inizio» e di essersi rivolto in primis a «coloro che da principio furono testimoni oculari e ministri della Parola» (Luca 1:1-4).
Si tratta di una ricostruzione storica teologicamente orientata, dunque, ma ciò non significa che debba essere approssimativa o contraffatta, anzi! Prendiamoci dunque del tempo per leggerla, soppesarla, meditarla. Per giungere a una nostra conclusione personale che sia però saldamente fondata su un esame attento e scevro da pregiudizi.