Nel libro degli Atti degli Apostoli troviamo rievocato tre volte l’episodio della conversione di Saulo (Saul) di Tarso, in seguito chiamato Paolo, e divenuto l’apostolo Paolo: per la precisione in 9:2ss., 22:1-21; 26:12-22. Nel primo caso è l’evangelista Luca, autore del libro, a raccontare l’accaduto; negli altri egli riporta due resoconti di Paolo stesso.
Alcune differenze sono irrilevanti per il quadro nel suo complesso e dipendono dalle diverse circostanze (di tempo, di uditorio, di scopo…) in cui i tre brani vengono presentati: chiunque di noi, riferendo un medesimo episodio, senza che ciò implichi falsità o contraddizioni, tara diversamente ciò che dice a seconda dei contesti (ad esempio: mi sto rivolgendo ad un amico? oppure ad estraneo? un curioso? un giornalista? un fratello in fede? un giudice?… e ancora: sto raccontando una cosa capitata a me o ad un altro?). Perciò, leggendo le sezioni degli Atti degli Apostoli in oggetto, non è difficile constatare come, in realtà, esse si integrino bene l’una con l’altra.
Fra le supposte contraddizioni, la più appariscente – ben nota a chi si occupa di queste cose – sarebbe la seguente: in Atti degli Apostoli 9:7 si dice che coloro che erano con Paolo udirono una voce ma non videro nulla, mentre in Atti degli Apostoli 22:9 si dice che videro ma non udirono. Come mai? Ebbene, la spiegazione, peraltro semplice, è stata data da numerosi studiosi. Ne scegliamo qui due soli, illustri: il pastore protestante Giovanni Luzzi (1856-1948) e il sacerdote cattolico Giuseppe Ricciotti (1890-1964).
«Non è una contraddizione; la cosa si spiega benissimo e facilmente. Essi udirono la voce, il suono, ma non udirono le parole. Le parole, che Saul afferrò e che avevano per lui un significato profondo, non erano per i suoi compagni che un suono confuso e indistinto. Così, nello stesso modo, essi videro una luce, ma non una forma nella luce, non una persona».
(G. Luzzi, Fatti degli Apostoli, Claudiana, Firenze, ristampa anastatica, 1988 [I edizione 1899], p. 146)
«È implicito nel verbo stesso udire il doppio significato di “sentire”, ossia percepire il suono materiale, e di “capire”, ossia comprendere il senso; così si potrà affermare di aver “sentito” un oratore che parlava, ma di non aver “capito” ciò che diceva. Ora, confrontando il complesso delle due narrazioni di qui e di 22:7 segg., appare chiaro che si sono volute contrapporre le percezioni visive e uditive dei compagni di Saul a quelle di Saul stesso; i compagni vedono il lume improvviso ma non scorgono nessun personaggio nuovo, mentre Saul vede lume e personaggio; egualmente i compagni “sentono” la voce arcana ma non ne “capiscono” il senso, mentre Saul la “sente” e la “capisce”. La cura con cui le due narrazioni mettono in rilievo la parte avuta dai compagni di Saul nell’avvenimento, è ispirata dal desiderio di presentarli quali testimoni parziali, ma disinteressati, dell’avvenimento stesso».
(G. Ricciotti, Atti degli Apostoli e lettere di San Paolo, A. Mondadori, 19912 [I edizione 1958], p. 168)
Come ha scritto un altro pregevole studioso, Rinaldo Fabris, «le piccole varianti introdotte rivelano non solo il gusto letterario lucano che tende a evitare le ripetizioni monotone, ma vogliono sottolineare alcuni aspetti funzionali al contesto attuale». E, comunque, il fulcro della ricezione dei fatti da parte di coloro che stavano viaggiando con Paolo è questo: essi, pur vedendo e sentendo, e dunque potendo testimoniare che qualcosa di straordinario è successo, «restano estranei all’esperienza di Paolo che solo incontra il Signore Gesù che gli affida un nuovo compito» (Atti degli Apostoli, Borla, Roma 19842 [I edizione 1977], p. 625).
Ciò detto, ulteriori riflessioni paiono doverose: innanzitutto, è risaputo che Luca, autore sia di uno dei quattro Vangeli canonici (Matteo, Marco, Luca e Giovanni) sia degli Atti degli Apostoli, è uno scrittore colto, raffinato, scrupoloso ed efficace (egli stesso ha dichiarato il proprio metodo di lavoro, con ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e redigere un resoconto ordinato – Vangelo di Luca 1:3); poi, gli Atti degli Apostoli sono una storia schiettamente apologetica, cioè che presenta, certamente, fatti storici, ma al tempo stesso intende apertamente difendere e corroborare la fede in Gesù Cristo. Ora, se veramente in Atti 9:7 e 22:9 ci fosse una clamorosa contraddizione, come pensare che a suo tempo Luca non se ne fosse accorto? Evidentemente, per lui non v’era incongruenza alcuna, e difatti i brani in considerazione sono senz’altro compatibili. In casi come questo, è buona regola cercare sempre la soluzione più piana e logica…