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«O Dio, tu sei il mio DIO, io ti cerco al mattino; l’anima mia è assetata di te; a te anela la mia carne in terra arida e riarsa, senz’acqua. Così ti ho ammirato nel santuario, contemplando la tua forza e la tua gloria. Poiché la tua benignità vale più della vita, le mie labbra ti loderanno. Così ti benedirò finché io vivo e nel tuo nome alzerò le mie mani. L’anima mia sarà saziata come di midollo e di grasso, e la mia bocca ti loderà con labbra giubilanti. Mi ricordo di te sul mio letto, penso a te nelle veglie della notte. Poiché tu sei stato il mio aiuto, io canto di gioia all’ombra delle tue ali. L’anima mia si tiene stretta a te; la tua destra mi sostiene…» (Salmo 63:1-7).

Giorni fa, guardando un film, ho ripensato a questo Salmo e mi sono detto: chissà quanti miliardi di volte al giorno il comandamento di non nominare il suo nome invano viene disobbedito! Io non frequento centinaia di persone al giorno, ma noto subito in quelle poche con cui ho occasione di parlare il vizio di nominare il nome di Dio a sproposito, in contesti in cui il nostro Creatore non c’entra assolutamente nulla. E certo, se i film sono uno specchio della società siamo messi veramente male, dato che il nome di Dio viene pronunciato costantemente e inopportunamente, o addirittura offensivamente, in numerosissime scene, dalla più romantica, edificante e pacifica alla più violenta, immorale e sanguinaria.

Domandiamoci: perché Dio ha istituito questo comandamento? Che significato hanno le parole «mio Dio» per il mondo che che in Dio non crede (o ci crede male) e quale invece per un vero credente? L’espressione «mio Dio», apparentemente semplice e ingenua, contiene in realtà un universo di significati: «Mio Dio» esprime un rapporto personale e intimo fra un essere umano e Dio, un “tesoro” che rimane fermo e disponibile in tutto il suo immenso valore anche quando tutto il resto sparisce, una risorsa adeguata in ogni nostra crisi.

Davide, autore del Salmo, cercava il Signore dall’alba, dall’alba della vita e dall’alba di ogni singolo giorno. Lo cercava con inesauribile fervore. La sua anima aveva sete di Dio, a Dio anelavano il suo corpo e il suo spirito: l’intero suo essere reclamava la comunione con l’Eterno. Il suo desiderio era intenso come la sete del viandante che vaga per una terra arida e senz’acqua.

Così, tornando indietro con la memoria, Davide ricordava il tempo in cui si recava ad adorare al santuario di Gerusalemme e, colto dall’estasi della sacra contemplazione, vedeva Dio in tutta la sua forza e gloria. A quel punto la sua anima non si poteva accontentare di nulla di meno di una nuova rivelazione del Signore, in splendore e potenza. Così, dall’arido deserto di Giuda Davide elevò una splendida e sentita preghiera di adorazione, dichiarando chela bontà di Dio vale più della vita e che il suo Nome merita di essere sempre lodato e benedetto, invocandolo: la bontà del Signore vale più di qualsiasi altra cosa offra la vita! La migliore funzione che le labbra umane possano svolgere è quella di lodare Dio, e non di nominarlo invano e meno ancora, ovviamente, di bestemmiarlo!

Le nostre mani si sentono appagate quando le alziamo per lodare e pregare il Signore? La nostra anima viene nutrita con eccellenti delizie spirituali? Le nostre labbra traboccano di gratitudine quando trascorriamo le ore insonni meditando sul Signore, su quale incalcolabile aiuto è per noi, se accettiamo che sia il nostro Dio? Chi potrà mai calcolare tutto ciò che il Signore ha fatto e fa per noi?

All’ombra e sotto la protezione delle sue ali, dunque, leviamo il nostro cantico gioioso. Quando ci aggrappiamo a lui con amorevole affidamento, consapevoli del nostro bisogno, egli ci preserva dai pericoli palesi e occulti e ci mette in grado di correre verso la meta per ottenere il premio della vita eterna che troviamo in Gesù, suo Figlio, che ha portato a compimento il piano di salvezza del Padre per noi. Dio è troppo, infinitamente  grande, perché il suo nome venga pronunciato senza nessun riguardo e timore. Ricordiamoci di questo ogni volta prima di aprire bocca…

Remo Molaro 

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