Di recente, un canale televisivo ha riproposto il film Il miglio verde, tratto da un romanzo di Stephen King. La pellicola ha ormai più di vent’anni, ma ricordo bene quando la vidi e la apprezzai per la prima volta. Ricordo anche alcune riflessioni – sempre attuali – che mi vennero in mente alla prima visione, e che adesso propongo a chi ci legge.
La storia è ambientata decenni addietro in un penitenziario statunitense della Louisiana, dove “miglio verde” era chiamato quel lungo corridoio – verde, per l’appunto – posto nel mezzo delle celle dei detenuti del “braccio della morte”: ogni condannato alla pena capitale, giunto il suo momento, doveva percorrere quell’angoscioso cammino per raggiungere la sedia elettrica.
Ora, per quanto sempre troppi, coloro che scontano una sentenza di condanna a morte inflitta da un tribunale umano sono una parte assolutamente esigua dell’umanità. Da un’altra ottica, tuttavia, la prospettiva può cambiare completamente: infatti, come non riflettere sul fatto che la nostra esistenza su questo pianeta è – da un certo punto di vista – un più o meno lungo “miglio verde”, un percorso sul quale ci avviamo fin dal giorno in cui veniamo concepiti? Se ci pensiamo bene, dunque, la nostra morte fisica è la “sentenza” più certa ed inevitabile del cammino terreno di ciascuno di noi: siamo tutti “condannati a morte” dalla nostra stessa vita.
Possiamo cercare il più possibile di non pensarci, oppure vivere apertamente angosciati dal pensiero della nostra fine, o immaginare che con la fine delle funzioni vitali del nostro corpo non resti più nulla di noi, o ancora ritenere che dopo vivremo tutti felici in un’altra splendida dimensione, a prescindere da quello che sia stato il nostro modo di condurci quaggiù… Ebbene, tre sono le cose, peraltro strettamente collegate l’una all’altra, che vorrei far notare in proposito, alla luce della Parola di Dio.
- Le Sacre Scritture parlano chiaramente di un destino ultraterreno per l’uomo, precisando che esso potrà essere felice (più che felice!) se avremo amato e – dunque ubbidito – Dio, mentre sarà infelice (più che infelice!) nel caso contrario: «E questi [coloro che non avranno seguito il Signore] andranno nelle pene eterne, mentre i giusti nella vita eterna» (Vangelo di Matteo 25:46).
- Colui che ha vinto la morte, aprendo per chiunque lo desideri prospettive di vita eterna con Dio, è stato (ed è) Gesù Cristo: «Io sono la risurrezione e la vita; chiunque crede in me, anche se muore, vivrà» (Vangelo di Giovanni 11: 25): nonostante la morte fisica – intende – chi crede in Cristo proseguirà una nuova vita da risorti con Dio, nella beatitudine eterna. È per questo che si può dire che Gesù è venuto a «liberare tutti quelli che per timore della morte erano tenuti in schiavitù per tutta la loro vita» (Lettera agli Ebrei 2:15).
- Tutti gli esseri umani infatti, in un modo o nell’altro, prima o dopo, ma spesso costantemente, e più o meno coscientemente, e che lo ammettano o meno, sono “schiavi” – cioè condizionati, oppressi, aggravati – dal pensiero della propria estinzione. Ebbene, solo il Signore può dare loro una vera e concreta tranquillità d’animo e un’aspettativa gioiosa e gloriosa per quel momento: «È preziosa agli occhi del Signore la morte dei suoi fedeli» (Salmo 116:15); «Beati i morti che muoiono nel Signore» (Apocalisse 14:13).
Stiamo attraversando tutti il nostro “miglio verde”, non sappiamo esattamente per quanto tempo ancora. Non è forse un ottimo motivo per conoscere il Signore, convertirci e seguirlo, affinché, invece di essere l’anticamera di una pena, questo percorso diventi un tragitto verso la luce di Dio? Riflettiamo su questo versetto che l’apostolo Paolo scrisse ai cristiani della città di Colosse, ma che vale tuttora per chiunque voglia diventare ed essere veramente cristiano: «Quando Cristo che è la nostra vita apparirà [nel senso che tornerà, alla fine del mondo] allora anche voi apparirete con lui in gloria» (Lettera ai Colossesi 3:4).
Valerio Marchi