Nel Vangelo di Matteo, al capitolo 22, versetti dal 23 al 33, l’Evangelista riporta uno scambio di battute fra Gesù ed alcuni che non credevano alla prosecuzione della vita umana dopo la morte fisica. Il Signore rimproverò tali persone (dicendo loro che, di fatto, non conoscevano né le Sacre Scritture né la potenza di Dio) e, con semplicità ed efficacia, citò uno dei tanti passi biblici in cui Dio si autodefinisce “il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” (Esodo 3:6).
Abramo, Isacco, Giacobbe (rispettivamente nonno, figlio e nipote) furono i primi tre capi-famiglia nel-la lunga genealogia del popolo d’Israele, cioè il popolo di Dio al quale (nella linea di discendenza iniziata dai suddetti patriarchi) è appartenuto anche il Cristo (tale genealogia è riportata al capitolo 1 del Vangelo di Matteo). Ora – ragionò Gesù -, se Dio si fa chiamare loro Dio anche tanto tempo dopo la loro morte, ciò significa che la vita umana perdura nell’aldilà (perché “Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi!”) e che, come la Bibbia annuncia, un giorno (dopo il Giudizio, nella risurrezione) Dio darà agli uomini un nuovo corpo, atto a vivere in una diversa dimensione (infatti, secondo Gesù, nella vita futura i salvati “saranno in cielo come gli angeli di Dio”). Abramo, Isacco e Giacobbe, vissuti sulla terra molti secoli prima del Vangelo, esistevano ancora (non sulla terra) ai tempi di Cristo, e sono vivi ancora oggi, e ciò vale per tutti i trapassati d’ogni tempo!
Si noti che le persone che non credevano a tutto ciò, nel contesto di Matteo, erano dei “religiosi” molto conosciuti ed accreditati, e si ritenevano tali anche più di altri. Non è paradossale? Eppure, capita spesso anche oggi…