Mancano poche ore all’arresto. Da lì in poi Gesù passerà attraverso interrogatori, umiliazioni, percosse, fustigazioni, fino alla via crucis e all’estremo sacrificio: l’orribile tortura della croce, l’ignominia subita «come un agnello condotto al macello, muto davanti a chi lo tosa», senza reagire ai carnefici, proprio come profetizzato sette secoli prima (Isaia 53:7). E non solo Gesù non reagisce, ma addirittura prega per i suoi carnefici e per tutti coloro che hanno ordito o approvato la condanna, o semplicemente non hanno fatto nulla per evitarla: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Vangelo di Luca 23:34).
Il Vangelo di Giovanni, nei capitoli 13-17, descrive le ultime ore di intimità fraterna del Signore con i discepoli, esortati a imitare sempre il suo amore: «Questo è il comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi»; e come Gesù li sta amando emerge con tutta chiarezza: «Nessuno ha amore più grande di questo: dare la propria vita per i suoi amici». Ma chi sono i suoi amici? Lo spiega subito dopo: «Voi siete miei amici se fate le cose che vi comando» (Giovanni 15:12-14). Il comando, come abbiamo appena letto, è quello dell’amore, e infatti poco prima egli aveva detto: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Giovanni 13:35).
Che dire, allora, quando un simile contesto evangelico viene utilizzato da un capo politico che scatena una guerra? Sulle prime si rimane allibiti, ma uno sguardo alla storia dimostra che si tratta di un desolante ritornello: l’uso strumentale del Vangelo per fini politici è difatti una prassi di lunghissimo periodo, peraltro ampiamente prevista dalle stesse Sacre Scritture (Dio sa sempre tutto prima, è ovvio). Gesù, ad esempio, non solo mise più volte in guardia i discepoli da coloro che avrebbero indebitamente parlato in nome suo (Vangelo di Matteo 7:22, 24:5), ma li avvisò addirittura che essi avrebbero incontrato persone capaci di ucciderli pensando di «rendere un servizio a Dio». Un altro esempio ce lo offre la Seconda lettera dell’apostolo Pietro (3:16), nella quale si stigmatizzano coloro che «torcono le Scritture» per strumentalizzarle in funzione dei propri fini, perlopiù perversi.
L’ultimo caso di una lunghissima serie, davvero eclatante, è quello di un importante leader politico che per rafforzare il pensiero e il legame con gli uomini al fronte ha citato proprio il Vangelo di Giovanni 15:12 («Nessuno ha amore più grande di questo…»), la cui attinenza con una sanguinosissima invasione militare, di qualunque segno essa sia, è ovviamente pari a zero. «Voi siete miei amici se fate le cose che vi comando», specificò Gesù: e che cosa ha comandato? Forse di sbudellarsi a vicenda?!?
Ma tant’è, la storia ci ha abituati a questo e ad altro: «In hoc signo vinces» (l’imperatore Costantino che sconfigge Massenzio “nel segno della croce”), «Deus vult» (“Dio lo vuole”, lo slogan per andare alle crociate), «Gott mit uns» (“Dio è con noi, motto dell’Ordine teutonico utilizzato poi anche dai re di Prussia, dagli imperatori tedeschi e persino dai nazisti), e gli esempi si potrebbero tristemente moltiplicare, attingendo in ogni epoca e da ogni parte… E così ecco terrore, menzogne, odio, devastazione, sterminio, e quante stragi di innocenti “nel nome di Dio”! Se ci si illudeva che la Cristianità fosse ormai esente da simili fenomeni, eccoci serviti. E speriamo che non si faccia altrettanto anche da altre parti.
Possano i potenti, loro per primi, recuperare un sacro timore di chi è veramente Potente. Essi «tramano cose vane», ma «Colui che siede nei cieli si farà beffe di loro» (Salmo 2:1.4); e «dispensano sulla terra violenza», dimenticando che «c’è un Dio che fa giustizia», prima o poi (Salmo 58:2.11). Perché «il soffio dei tiranni è come una tempesta contro il muro, e il loro canto sarà fatto tacere» (Isaia 25:4-5). Da qualunque parte provenga quel lugubre canto.
Valerio Marchi