Nella prospettiva del Vangelo, la nascita di Gesù di Nazaret è avvenuta nella «pienezza dei tempi»: così ci spiegano, nel Nuovo Testamento, brani come quelli delle Lettere ai Galati 4:4, agli Efesini 1:8-10, agli Ebrei 9:26. Ciò indica l’adempimento del grande disegno di salvezza di Dio all’interno della storia umana: una svolta decisiva che è a favore potenzialmente di tutti, ma poi, concretamente, solo di chi regola la propria vita su un prima e un dopo avere conosciuto Cristo.
Se la nascita, l’esempio e l’insegnamento di Gesù non ci inducono a vedere da un’angolazione nuova noi stessi e il mondo, e a vivere di conseguenza, diventando suoi discepoli e perciò imprimendo una svolta al nostro percorso, allora il bambinello nella mangiatoria potrà anche ispirare una passeggera tenerezza, certo… ma “a.C./d.C.” rimarrà a quel punto soltanto una meccanica indicazione cronologica.
Oltretutto, le radici extra-bibliche del Natale non sono certo un mistero. Consideriamo questi fatti: il Nuovo Testamento (che raccoglie gli scritti cristiani più autorevoli e più vicini all’epoca di Gesù) non dice nulla in proposito; i primi cristiani non conobbero alcuna celebrazione natalizia; non conosciamo né il giorno né il mese né l’anno in cui Gesù venne al mondo, ed è certo che il re della Giudea Erode il Grande (quello della strage degli innocenti: Vangelo di Matteo 2:1-16) morì nel 4 avanti Cristo: perciò Gesù nacque prima di quella data e ci troviamo nella singolare condizione di dover ammettere che, dal punto di vista storico, Gesù Cristo è nato… avanti Cristo!
E il 25 dicembre? Ebbene, nell’antichità quella data, legata al solstizio d’inverno, celebrava la vittoria del dio Sole sulle tenebre e si ricollegava anche al dio Saturno (il sole rinato era segno dell’avvicinarsi della primavera con i suoi nuovi frutti, e si usava scambiarsi doni tra amici e parenti). Il sole venne a un certo punto legato alla figura del Messia atteso dal popolo ebraico (il «sole di giustizia» di cui parla, nell’Antico testamento, il Libro del profeta Malachia 3:20-21) e identificato dai cristiani con Gesù, ma si trattò in realtà di una delle varie mescolanze fra paganesimo e cristianesimo.
Alla ricorrenza del 25 dicembre, inteso come giorno (leggendario) della nascita di Gesù, si aggiunse, in particolare a partire dal monaco Dionigi il Piccolo (vissuto a cavallo dei secoli V e VI), l’idea di stabilire uno spartiacque nella periodizzazione storica, distinguendo fra prima e dopo Cristo (e il 1° gennaio sorse da un’esigenza di razionalizzazione: iniziare l’anno con il primo giorno del mese successivo a dicembre). Un lungo percorso ha portato infine a quel calendario gregoriano che ci è familiare (ma non è così ovunque).
I cristiani, in realtà, non dovrebbero riferirsi alla nascita di Gesù e alla periodizzazione a.C./d.C. con una valenza collegata solo a convenzioni storico-pratiche, e tanto meno dovrebbero mescolare il significato dell’ingresso nel mondo della Parola che «si fece carne» (Vangelo di Giovanni 1:14) con usanze – di cui il Natale abbonda – estranee alla fede in Cristo. La messa a fuoco dovrebbe avvenire invece sul tempo inteso nella sua natura qualitativa e sul senso dell’esistenza in un’ottica escatologica, cioè proiettata verso i destini ultimi dell’umanità e di ciascuno di noi.
È la vita di chi desidera essere cristiano che dev’essere “a.C./ d.C.”: oggi non si usa quasi più la parola “conversione”, ma è ancora ciò di cui abbiamo urgentemente bisogno. Ricordiamo che il primo annuncio pubblico sia di Giovanni Battista – precursore di Gesù – sia di Gesù stesso, è stato questo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: ravvedetevi e credete al Vangelo!» (Vangelo di Marco 1:4.15; Vangelo di Matteo 3:2, 4:17). Gesù, poi, aggiunse: «Se uno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio» (Vangelo di Giovanni 3:3), e l’apostolo Paolo invita ancora oggi tutti noi a spogliarci del nostro «uomo vecchio» per rivestirci dell’«uomo nuovo che si va rinnovando nella conoscenza a immagine del Creatore» (Lettera ai Colossesi 3:9-10).
Il mondo, possiamo starne certi, fra una cosa e l’altra sostanzialmente non cambierà: anche nel 2025, come diceva un grande saggio dell’Antico Testamento, non vi sarà «nulla di nuovo sotto il sole» (Qohelet 1:9). Ciascuno di noi, però, ha il potere di cambiare se stesso: facciamolo seguendo il Signore, e allora potremo veramente dire “buon anno”!
Valerio Marchi