Il 22 marzo 2023, nel contesto del conflitto russo-ucraino, l’ambasciatore russo negli USA Anatoly Antonov ha affermato che con il loro comportamento i Paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, starebbero portando l’umanità intera verso «un Armageddon nucleare»: è anche così che, di tanto in tanto, l’inquietante espressione di origine ebraica «Har Meghiddòhn» ricompare nei più vari contesti…
Vi sono innanzitutto confessioni religiose che lo utilizzano per predire, in genere in chiave millenarista, una guerra terrificante, un cataclisma bellico decisivo di proporzioni e conseguenze immani. Poi, fra i molteplici utilizzi, tutti ricordiamo, ad esempio, il film del 1998 diretto da Michael Bay Armageddon, colmo di stelle di Hollywood, che ruota attorno alla minaccia di un enorme meteorite in procinto di colpire il pianeta Terra. E potremmo continuare.
D’altronde, nel linguaggio corrente il termine è diventato sinonimo di cataclisma, catastrofe, fine del mondo, e così via. Insomma, Armageddon è uno di quei nomi che rimangono molto ben impressi nell’immaginario collettivo ma che, al tempo stesso, vengono di frequente strumentalizzati e/o banalizzati.
«E vidi uscire dalla bocca del dragone e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta tre spiriti immondi simili a rane: infatti sono spiriti di demoni che fanno prodigi e vanno a radunare tutti i re della terra per la battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente… E radunarono i re nel luogo che si chiama in ebraico Harmaghedòn» (Apocalisse 16:13-14.16): il contesto parla dunque di una demoniaca, antidivina coalizione capeggiata da tre malefici condottieri che sprigionano dalle loro bocche tre esseri impuri e radunano i re della terra perché si preparino a guerreggiare contro le armate di Dio.
Occorre a questo punto osservare che i brani apocalittici appartengono ad un genere letterario particolarissimo (il genere apocalittico, per l’appunto), per definizione pregno di situazioni paradossali, simboli, metafore, immagini “forti” d’ogni genere, e il tutto non è sempre di facile decifrazione.
Ora, premesso che l’espressione in oggetto significa letteralmente «monte di Maghedon», e che essa non compare altrove nella Bibbia, si è comunque pensato di accostare Maghedon a Meghiddo, un luogo della storia ebraica (situato peraltro in pianura, non su un monte): nell’Antico Testamento è il più celebre campo di battaglia palestinese e, per questo, un possibile simbolo di lotte, sconfitte e stragi (si può trattare di qualcosa di simile all’uso che facciamo noi di due nomi ben più recenti per indicare una tremenda sconfitta: la nostra «Caporetto» e la napoleonica «Waterloo»).
Possiamo dunque ipotizzare che, utilizzando «Harmaghedòn», l’autore dell’Apocalisse (ultimo libro della Bibbia) abbia inteso simboleggiare la sconfitta finale delle forze del Male contro il potere e la volontà di Dio. Nulla a che fare, però, con improbabili speculazioni teologiche (l’Apocalisse, in quanto libro fortemente simbolico, si presta a letture fantasiose e strumentali) oppure meteoriti, Kolossal hollywoodiani… e, soprattutto, niente a che fare con scontri fra eserciti umani dei quali una parte incarni le forze divine del Bene e l’altra quelle sataniche del Male. Oltretutto, si dimentica che il libro dell’Apocalisse (termine che, tradotto dal greco «apokálypsis», significa semplicemente «rivelazione») contiene, sì, scene drammatiche e talora anche spaventose, ma nel suo complesso è un grande, gioioso messaggio di speranza per i cristiani, a beneficio dei quali è stato scritto: infatti, anche se guardando le cronache di ogni giorno potrebbe sembrare che non sia così, Dio ha il pieno controllo della storia umana e la conduce verso un destino da un lato tragico (basti pensare allo «stagno di fuoco e zolfo» idi cui parla Apocalisse 20:10) ma dall’altro felice e glorioso per chi, seguendo il messaggio di amore e di verità del Vangelo, combatte dalla parte del Signore la propria “battaglia” (in senso spirituale: a chi ama Dio, infatti, non vengono richieste guerre armate!): «Ed egli sarà il loro Dio e asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento» (Apocalisse 21:4).
Valerio Marchi